Ecco il nuovo commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 3856/20

Con una breve, ma interessante pronuncia depositata il 29 Gennaio 2020, la Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 3856/20) ha ravvisato l’estorsione (tentata e consumata) nella condotta di un soggetto, che aveva minacciato due parroci di Ercolano, conseguendo – in due occasioni – esigui importi di denaro, pari ad euro 25,00= e 50,00=.

In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto la sussistenza del sopraindicato reato, mentre la Corte d’Appello di Napoli aveva riqualificato i fatti in “violenza privata”, con rideterminazione della pena in senso migliorativo per l’imputato.

A fondamento della propria decisione, la Corte d’Appello valorizzava la circostanza che la condotta dell’imputato, pur minacciosa, non avrebbe determinato un danno ingiusto ai due religiosi, con conseguente insussistenza dell’evento previsto dal reato di estorsione.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza di primo grado, lamentandone la contraddittorietà in quanto, pur riconoscendo le minacce rivolte dal reo ai due parroci, aveva escluso il danno ingiusto per le persone offese, trattandosi delle offerte per scopi benefici.

Secondo il P.G., la fondatezza di tali argomentazioni sarebbe stata smentita da una piana lettura del materiale probatorio, attestante in modo inequivoco che l’intimidazione realizzata dall’imputato era preordinata al conseguimento di somme di denaro, così integrando il più grave reato di estorsione nella forma consumata e tentata.

Il supremo organo decidente condivide le argomentazioni poste a base del ricorso, evidenziando l’assenza di alcun dubbio sulla “materialità della condotta” e l’illogicità dell’impugnata sentenza nella parte in cui provvede alla derubricazione del delitto di estorsione in violenza privata, per l’“assenza di un danno economico.”.

Infatti, secondo gli ermellini, osta alla condivisibilità di tale interpretazione il rilievo che la liberalità è ravvisabile solo nell’atto spontaneo di chi fornisce una somma di denaro e non certo ove la relativa consegna sia conseguente a minaccia.

Secondo la Cassazione risulta poi irrilevante l’esiguità dell’importo conseguito, ai fini della configurabilità dell’estorsione, potendosi comunque ravvisare un danno per il solo fatto che il denaro sia utilizzato per finalità diverse da quelle liberamente individuate dal detentore.

In conclusione, la Cassazione formula il seguente principio di diritto: “Il delitto di estorsione si realizza a fronte di una minaccia o di una intimidazione volta a ottenere somme in denaro, se pure per entità limitate e nei confronti di soggetti dei quali si presume la dedizione a elargizioni gratuite”, con annullamento dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Napoli per un nuovo giudizio.

avv. Sandro Cannalire