Ecco il primo interessante commento alla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 926/19

Nell’attuale contesto temporale, in cui gli stadi italiani sono sempre più vuoti (anche per la possibilità di seguire comodamente da casa ed in televisione le partite della propria squadra del cuore) desta interesse la recente sentenza 926/19, depositata il 10.1.2019.

Con detta pronuncia, infatti, la Corte di Cassazionesez. II penale – si è occupata del ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, che lo aveva ritenuto colpevole del reato di ricettazione di sei biglietti contraffatti nel supporto cartaceo e nei caratteri di stampa, per la partita di calcio Napoli – Milan del 28/10/2009.

Infatti, l’art. 648 c.p. punisce con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato ed al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare.

Detta norma commina poi la reclusione sino a sei anni e la multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.

Tali disposizioni si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non sia imputabile o non è punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.

Con l’interessante pronuncia sopra richiamata, il Supremo Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso per la sua manifesta infondatezza, confermando alcuni principi consolidati.

In primo luogo, l’imputato aveva sostenuto che i biglietti costituivano scritture private e che la loro falsificazione avrebbe integrato il reato per falso in scrittura privata ex art. 485 cod. pen., depenalizzato ex D.Lgs. n. 7/2016.

Conseguentemente, non sarebbe stato configurabile il reato di ricettazione, per sopravvenuta “mancanza” del reato presupposto.

La Corte disattende tale argomentazione, ribadendo l’irrilevanza dell’intervenuta depenalizzazione del reato presupposto dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa”.

Col secondo motivo di doglianza, l’imputato contestava inoltre la sussistenza degli elementi costitutivi della ricettazione, non essendo stato provato che egli avesse posto in vendita detti biglietti.

Anche tale motivo veniva disatteso dalla Suprema Corte, la quale ribadiva la desumibilità della prova dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta.

In altre parole, la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 648 c.p. deriva dall’essere stato egli colto nella disponibilità di cose di provenienza illecita, in assenza di alcuna giustificazione al riguardo.

Consequenziale alla pronuncia di inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Insomma, un’avventura conclusasi a caro prezzo (sia in termini economici, che in considerazione della fedina penale “macchiata”) per il ricettatore.

L’occasione mi è utile per auspicare che i lettori vengano a seguire (muniti di biglietti autentici, si intende!!!) le partite del mio amato A.C. Legnano 1913, al quale auguro – con tutto il cuore – di tornare a giocare in categorie superiori, ben più adeguate al suo blasone. Forza lilla!!!!

avv. Sandro Cannalire