Ecco il nuovo commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 46376/19

La registrazione dell’utenza cellulare in siti internet di un soggetto in assenza di consenso dell’interessato, requisito previsto in via generale dall’art. 6 del GDPR, costituisce condotta che, se compiuta al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, e arreca nocumento all’interessato, integra il reato di illecito trattamento di dati personali.

Questa è la conclusione alla quale perviene la sentenza n. 46376/19 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. III penale, depositata il 14 novembre 2019.

I fatti, dai contorni apparentemente “boccacceschi”, sono i seguenti: una donna registrava un annuncio in una “chat” erotica, inserendo il numero del cellulare in uso ad altra persona, senza il consenso di quest’ultima, invitando gli utilizzatori di tale sito a contattare la detta utenza telefonica per ottenere prestazioni sessuali.

Il Tribunale di Caltanissetta condannava l’imputata alla pena (sospesa) di mesi nove di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato di trattamento illecito di dati personali, di cui all’art. 167 D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

La Corte d’appello della medesima città confermava la sentenza di primo grado.

Il successivo ricorso proposto avanti alla Corte di Cassazione viene dichiarato inammissibile “perché basato su una doglianza di merito che costituisce la mera riproduzione di un rilievo critico già esaminato e motivatamente disatteso dai giudici del merito”.

Il Supremo Collegio, tuttavia, rileva l’intervenuta modifica del precitato art. 167, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 101 del 2018, affermando la perdurante rilevanza penale della condotta contestata, anche per la nuova ipotesi incriminatrice.

Infatti, il citato decreto consente il trattamento dei dati personali relativi al traffico, ricomprendente il numero dell’utenza cellulare di un soggetto, “…unicamente a persone che… risultano autorizzate al trattamento e che operano sotto la diretta autorità del fornitore del servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico o, a seconda dei casi, del fornitore della rete pubblica di comunicazioni e che si occupano della fatturazione o della gestione del traffico, di analisi per conto di clienti, dell’accertamento di frodi, o della commercializzazione dei servizi di comunicazione elettronica o della prestazione dei servizi a valore aggiunto…”.

Ne consegue, afferma condivisibilmente la Cassazione, che “la condotta di chiunque, soggetto non autorizzato ai sensi dell’art. 125 D.Lgs. n. 196 del 2003, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, arreca nocumento all’interessato, mediante il trattamento dei dati del traffico, tra i quali rientra il numero dell’utenza cellulare, integra la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, comma 1, come modificato”.

La Corte constata poi che il trattamento sanzionatorio indicato nel novellato art. 167 cit. è più favorevole rispetto al previgente (prevedendo la reclusione da sei mesi ad anno e sei mesi, a fronte della reclusione da sei a ventiquattro mesi), con conseguente applicazione della nuova pena.

L’art. 2 c.p., comma 4 prescrive, infatti, che: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

Un’ultima annotazione: è tanto diffusa, quanto errata, l’opinione di ritenere internet una sorta di “zona franca”, ove sia possibile scrivere di tutto, senza essere poi individuati e puniti.

Nulla di più sbagliato, essendo peraltro in costante aumento l’accertamento di reati connessi all’uso improprio dei mezzi informatici.

avv. Sandro Cannalire